Capoeira - ‘Ngolo, origine di una lotta
Si dice che esista una danza-lotta (prova di abilità e coraggio) diffusa tra una popolazione dell’Angola chiamata ‘Ngolo o “danza della zebra”, per cui il vincitore del ‘Ngolo ha diritto a scegliere tra le più belle vergini quella che a lui piace e a prenderla in moglie, senza dover pagare la dote.
‘Ngolo significa lotta, combattimento, impatto, scontro e non si riferisce solo agli uomini, ma anche agli animali.
Una delle tesi più accreditate vede nella ‘Ngolo tracce di capoeira.
Trasportata in Brasile e cambiato il contesto di riferimento, della ‘Ngolo sarebbe rimasto l’impeto e la forza, ma si sarebbe arricchita di un nuovo significato, di una nuova estetica, di un nuovo messaggio.
Non più quindi una dimostrazione di abilità e di forza praticata da uomini liberi in una terra libera, ma si trasformò in una malizia, in un inganno, un trucco, per poter praticare qualcosa che era vietato. Questo rivestimento, questo “carnevale”, questa “messa in scena”, è tipico della capoeira e di molte altre manifestazioni culturali afro-brasiliane.
La capoeira è una forma sincretica che usa un linguaggio in codice per poter esprimere ciò che era vietato dire. Essa è un linguaggio di libertà; i suoi movimenti sono parole che esprimono il desiderio di un intero popolo di essere libero, un popolo intero che chiede di essere riconosciuto come ESSERE UMANO.
Agli schiavi erano dedicati dei giorni di riposo (dias de folga) spesso in coincidenza con le feste religiose, o giornate appositamente dedicate al loro svago (folguedos), che si tramutavano in veri e propri “carnevali” dove i negri sfilavano a ritmo di musica e di canti, improvvisando scenate, danze (batuques), giochi di abilità (capoeira) sotto lo sguardo divertito dei loro padroni.
A volte gli africani mettevano in scena delle vere e proprie sfilate (maracatu) per l’incoronazione del loro re negro e adottavano un abbigliamento uguale a quello della nobiltà portoghese. Il re e la regina aprivano il corteo, seguiti dalle damigelle, dai cavalieri, dai buffoni etc. Sfilavano cantando e ballando, imitando nei gesti quelli signorili, ma in fondo riproponendo ciò che spesso facevano nella loro terra (Aruanda: terra mitica).
Questo ricordo si è tramandato di secolo in secolo e nel tempo si è trasformato, divenendo costume brasiliano.
Durante i folguedos, spesso i Signori osservavano i “giochi” degli schiavi e dicevano: «Olha, são os jogos de angola, os negros estão brincando de Angola» (guarda, i negri stanno facendo i giochi di Angola), intendendo con “Angola” una provenienza comune a tutti gli schiavi. Pare che questo modo di dire sia rimasto nel linguaggio comune per identificare “quel gioco là”, la capoeira. Agli occhi dei signori appariva come una pratica divertente ed innocua, erano giochi al ritmo dei tamburi e i negri sembravano stessero ballando.
r gli schiavi si trattava invece della loro forma di lotta, la loro arma di libertà.